Logo Regione Autonoma della Sardegna
IL SISTEMA AMBIENTALE DELLA SARDEGNA

Cambiamenti climatici

Le dune di Porto Pino - foto di Roberto Agostinelli
Secondo quanto riportato nel Fourth Technical Assessment Report (TAR) dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) pubblicato nel 2007, gli undici anni tra il 1995 e il 2006 sono stati tra i più caldi registrati se si fa riferimento alla temperatura media globale a partire dal 1850. Il trend lineare di crescita della temperatura nell’intervallo 1906-2005 è di 0.74 [0.56 - 0.92]°C (i numeri tra le parentesi quadre indicano un 90% di intervallo di incertezza attorno alla migliore stima) ed è maggiore del corrispondente trend di 0.6 [0.4 to 0.8]°C2 (1901-2000) precedentemente stimato nel Third Assessment Report (2002).

La ragione principale dell’aumento della temperatura è legata ad un secolo e mezzo di industrializzazione: la combustione di quantità sempre più elevate di petrolio, gasolio e carbone, il taglio delle foreste, ed un aumento dello sfruttamento del suolo a uso agricolo.
Secondo la definizione utilizzata dall’United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC), il cambiamento climatico si riferisce ad un cambiamento – maggiore rispetto alla variabilità naturale del clima osservata in paragonabili periodi di tempo – dello stato del clima; tale variazione è attribuita ad un’alterazione della composizione dell’atmosfera globale, direttamente o indirettamente causata dall’attività dell’uomo.
Le evidenze e gli scenari presentati nel rapporto (IPCC Fourth Assessment Report: Climate Change 2007 - AR4) realizzato dall’IPCC hanno destato particolari preoccupazioni soprattutto per le possibili implicazioni che questi avranno sugli ecosistemi, sulle popolazioni, ma soprattutto sui settori economici che dipendono dalle condizioni climatiche di contesto.

Tra le principali evidenze emerse a livello globale possiamo citare i seguenti fenomeni:
• incremento complessivo delle temperature su scala globale: gli anni compresi tra il 1997 e il 2008 si collocano fra i più caldi mai registrati da quando si dispone di misure globali della temperatura (1850). Otto dei dieci anni più caldi mai registrati si sono verificati dal 2001. Negli anni più recenti, l’aumento totale della temperatura registrato a livello globale tra la media del periodo 1850-1899 e quella del periodo 2001-2005 è di 0,76 °C;
• scioglimento e conseguente contrazione della superficie terrestre e marina coperta dai ghiacci: le osservazioni satellitari effettuate dal 1978 mostrano come l’estensione annuale media dei ghiacci marini artici si sia ridotta del 2,7% per decade, con maggiori diminuzioni durante i periodi estivi (7,4% per decade);
• innalzamento del livello dei mari: il livello medio globale dei mari è cresciuto con un tasso medio di 1,8 mm all’anno, tra il 1961 e il 2003. Il tasso di crescita è stato maggiore durante il periodo 1993-2003: circa 3,1 mm all’anno; variazione nella manifestazione territoriale e nell’intensità delle precipitazioni, nonché incremento della frequenza di fenomeni “estremi” (inondazioni, periodi di siccità, ecc.).
Secondo l’IPCC, cambiamenti nella concentrazione atmosferica dei gas serra e degli aerosol (piccole particelle, es. nitrati, polveri, ecc.), nella copertura forestale terrestre e nelle radiazioni solari, sono in grado di alterare il bilancio energetico del sistema climatico, creando scompensi.

Nel periodo 1970-2004, le emissioni globali dei gas serra (GHG) sono cresciute del 70%. L’ammontare più significativo di gas serra è stato generato dalle attività relative a: approvvigionamento energetico (26%), industria (19%), deforestazione e utilizzo dei terreni (17,4%), agricoltura (14%) e trasporti (13%).

L’ultimo rapporto dell’IPCC conferma che i futuri cambiamenti climatici non riguarderanno soltanto l’innalzamento delle temperature, ma produrranno anche una modifica dell’intero sistema climatico con serie ripercussioni sugli ecosistemi e sulle attività umane. Gli scenari delineati dall’IPCC prospettano un aumento delle emissioni globali dei GHG compreso in un intervallo che va da 9,7 a 36,7 milioni di tonnellate di CO2-eq tra il 2000 e il 2030. Tali cambiamenti hanno portato ad una crescente perdita di biodiversità, hanno posto sotto particolare stress gli ecosistemi terrestri e marini. Particolarmente rilevante per la gestione delle aree costiere è il fenomeno dell’innalzamento del livello dei mari.
Le analisi e le osservazioni delle variazioni che interessano il livello dei mari hanno assunto una rilevanza considerevole soprattutto per i potenziali impatti sulle popolazioni insediate nelle regioni costiere e sulle isole.
Due sono le cause principali dell’incremento del livello dei mari: l’espansione termica degli oceani e lo scioglimento dei ghiacciai terrestri. Dal 1993 l’espansione termica degli oceani ha contribuito per il 57% circa, mentre la riduzione dei ghiacciai e della calotta glaciale per il 28% circa.

I principali impatti dei cambiamenti climatici sulle coste della Sardegna
Per quanto riguarda i principali impatti osservabili sulle aree costiere della Sardegna particolare rilievo assume l’intensificazione dei fenomeni di erosione. Al fine di valutare l’ampiezza del problema possiamo riferirci alla letteratura pubblicata recentemente sulla materia. Per esempio, secondo uno studio realizzato dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) (2005), durante gli ultimi 40-50 anni la Sardegna ha perso superfici di spiaggia lungo circa 107 km di costa, mentre secondo valutazioni del GNRAC (Gruppo Nazionale per la Ricerca sull’Ambiente Costiero) (2006) tali erosioni si sono manifestate lungo 165 Km (pari al 35,9% delle coste sabbiose). Ranieri (2008) mette in evidenza un arretramento di quasi 20 m nell’area costiera di Porto Torres in pochi anni.

Di seguito vengono elencati gli impatti legati ai cambiamenti climatici per le aree costiere della Sardegna così come descritti nella letteratura recente:
• aumento dell’apparizione di eventi estremi legati al tempo, tempeste di mare, aumento dell’energia ondosa e dell’azione dei venti dominanti;
• aumento del livello del mare (indotto allo stesso tempo da processi umani e naturali) e delle correnti marine;
• tendenza alla diminuzione delle precipitazioni e quindi conseguente riduzione dell’apporto dei sedimenti fluviali verso le spiagge;
• è previsto un aumento dei rischi di instabilità, erosione e arretramento costiero particolarmente accentuato per le coste della zona ovest e nord-ovest della Sardegna.
Secondo uno studio dell’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) del 2007, per la fine del secolo la parte nord ovest della Sardegna, in particolare la valle bassa del Coghinas e gli acquiferi costieri dello Stagno di Pilo, sarà soggetta ad un aumento medio del livello del mare di 0.31 m. L’innalzamento del livello del mare accelererà la percentuale di erosione e la degradazione della linea costiera e potrebbe anche interessare negativamente gli acquiferi costieri a causa dell’intrusione salina.

Le spiagge sono divenute sempre più dei veri e propri attrattori turistici che offrono molteplici opportunità di intrattenimento e di svago. L’attuale paesaggio balneare va modificandosi, guidato da un trend evolutivo che è condizionato dall’azione degli eventi naturali e dall’intervento dell’uomo. Le spiagge nella loro naturalità rappresentano un valore economico intrinseco con un forte valore aggiunto sulla sostenibilità economica dell’area. Alcuni studi suggeriscono che, in media, ogni m² di una spiaggia rappresenta un valore approssimativo di € 800-2000.

Secondo uno studio recente (CIRCE, 2008), in una destinazione turistica famosa del Mediterraneo, unicamente a causa dell’erosione della spiaggia, il numero di persone impiegate nel settore potrebbe crollare di quasi 18%, generando perdite di capitale pari allo 0.3% del PIL totale dell’area stessa. Attualmente non esistono ancora studi specifici sugli effetti dei cambiamenti climatici sul sistema socio-economico della Sardegna. L’aumento del livello del mare potrebbe portare ad una riduzione della disponibilità di suolo. Le ricerche di FEEM (Fondazione Eni Enrico Mattei) ed ENEA hanno, per esempio, indicato la perdita di suolo dovuta all’aumento del livello medio del mare nel bacino del fiume di Sangro (Abruzzi). In questo caso i costi diretti sono stati stimati a €14 milioni (Breil e al., 2007) per lo scenario di riferimento IPCC nel 2100. Quando la probabilità di una maggiore intensità degli eventi idrogeologici è sommato all’aumento del livello del mare, i costi aumentano a circa € 73 milioni. Gli impatti non dovrebbero essere considerati solo in termini di perdita di suolo. Dovrebbe essere preso in considerazione anche il numero potenziale di persone inondate o costrette a spostarsi.

Un ruolo molto importante verrà giocato dall’erosione, dalla desertificazione e dalle mareggiate che impatteranno seriamente la produzione agricola attraverso la perdita di terreni coltivabili. Questo genererà degli impatti socio economici indiretti severi, come un crollo della produttività agricola ed un aumento della disoccupazione nelle zone rurali.

Testo di Alessio Satta