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Ricetta del pane di ghiande dolci, “pane è lande”, di Urzulei
Pane Ghiande
Ultimo aggiornamento: 28/11/2006

A Urzulei comune collocato in Provincia d’Ogliastra sulla parte Centro Orientale della Sardegna, presso il Golfo di Orosei, diversi decenni fa si raccoglievano le ghiande nel mese di Novembre per farne il pane di ghiande.
La raccoltà veniva effettuata soprattutto a Codula di Luna presso la località di Olevani. Le ghiande venivano fatte seccare per un mese al sole o in luogo chiuso secco. Dopodicchè venivano sbucciate e successivamente riscaldate al forno a legna fino a consentire con lo stropicciamento dei palmi delle mani l’asportazione dell’endotelio. Le ghiande così pulite venivano messe in un pentolone a cuocere con acqua e argilla rossa (terre rosse della classificazione francese), rimestata con una paletta con l’acqua e poi colata nel pentolone per la bollitura. Quest’argilla rossa è quella contenuta nelle spaccature dei calcari. L’argilla è su “Ludu ruju” in lingua sarda che veniva utilizzato per realizzare tegole o legare i mattoni del forno. Nel pentolone di rame veniva aggiunta cenere passata al colino. Si lasciavano le ghiande bollire tutta la giornata nel pentolone aggiungendo l’impasto di acqua e fango mano mano che il liquido di cottura si consumava, le ghiande (circa 50 Kg per pentolone) venivano scolate e messe in vassoi. Le ghiande così cucinate costituivano “sa perra è lande” da mangiare con formaggio fresco, lardo o carne. Dopo aver lasciato il brodo residuo della pentola a sedimentare il fango la parte più liquida in alto veniva separata e poi bevuta ed aveva un sapore dolce. Il liquido di cottura rimanente, ricco in amido, veniva colato finemente negli stracci, separato dal fango e messo in recipienti. Il liquido veniva rimesso nella pentola e lasciato consumare con un ulteriore bollitura e poi dopo ore veniva reso denso e versato per solidificare in recipienti ricavate da zucche (uppadas) e poi tagliato a fette e mangiato, veniva chiamato pistiddu e cioè stracotto.
Le ghiande così trattate costituivano il cosiddetto pane di ghiande che veniva chiamato “pane è lande” a Urzulei o “pan’è ispeli” a Villagrande dove “ispeli” dovrebbe essere il contenuto dello stomaco del maiale.
Le ghiande potevano così cotte potevano essere successivamente macinate ridotte in farina e poi impastate con il liquido dolce di cottura, le focaccine venivano nuovamente cotte al forno.
La curiosità oltrecchè sull’uso di confezionare questo prodotto risiede nella qualità di ghiande che venivano utilizzate. Non sono le ghiande del leccio propriamente conosciuto ma quelle ricavate da certe piante di quercia come quella ubicata nella località “Giordana”, e “Isalai” in agro di Urzulei sotto Silana verso Gorroppu che si distingue dal leccio comune per la cupola della ghianda vellutata senza scaglie in rilievo e con i margini della cupola che rispetto a quella normale sono carnosi e non fini. Inoltre la forma delle ghiande e rotondeggiante e sono più dolci anche se con questo metodo di cottura diventano dolci anche le ghiande amare.
A Silana sovrastata da questo villaggio sono collocate alcune querce che apparentemente sembrerebbero del tutto simile al leccio. Queste piante sono state segnate con i ferri del boscaiolo per essere reperite facilmente dai raccoglitori delle ghiande che le hanno sempre chiamate “sas mattas de lande durche”. Ora come si è detto sopra alcune di queste piante hanno delle caratteristiche morfologiche del tutto particolare che le differenziano dal leccio ma in particolare si caratterizzano per avere ghiande tondi e dolci.

RICETTA DEL PANE DI GHIANDE

50 Kg di ghiande lande durche ripulite dell’epitelio e dell’endotelio (devono diventare tipo castagne bianche)

1 pentolone di rame (lapiolu)

1 pentola per pasta piena di terra rossa (ludu ruiu per legare i mattoni rossi dei forni, ci sono delle cave tra le spaccature calcaree)

¼ di pentola per pasta piena di cenere di leccio

Si mischia il fango con l’acqua fino a farne una poltiglia liquida da passare al colino dentro il pentolone. Si aggiunge l’acqua e le ghiande e si lasciano cuocere tutto il giorno dal mattino da quando c’è luce alla sera da quando c’è luce. Man mano che si consuma si aggiunge acqua calda. A sera si recuperano le ghiande cotte dal liquido caldo e si servono (lande a perra e perra è lande). Il liquido caldo di risulta viene lasciato a sedimentare per una notte. L’indomani si recupera con il mestolo il liquido limpido privo del fango. Quest’ultimo fango residuo si butta via. Il liquido limpido è molto dolce, si cola in un’altra pentola alla quale si aggiunge la cenere colata (proprio come la procedura utilizzata per produrre il vinocotto) e si lascia consumare tipo “binicottu” e poi una volta ben consumato e con la consistenza de su pistiddu si versa in mezze zucche si taglia a fette e si mangia. Vene chiamato “pistiddu” de lande che vuol dire “dolce stracotto di ghiande”.

Una parte delle ghiande così cotte può essere messa in una teglia e torrefatta al forno senza bruciarle. Queste possono essere macinate e si ricava la farina di ghiande dalla quale ricavare focaccine o filoni da cuocere ulteriormente al formo e poi da tagliare con il coltello.