Una parte cospicua della superficie dell’isola è occupata da ampie distese erbacee.
Pascoli in collina o in pianura, cespugliati o alberati, offrono al bestiame riparo dalla calura estiva e dalle intemperie invernali. Queste aree ombreggiate, chiamate in sardo meriagos, sono il punto di contatto tra pascolo e foresta.
L’utilizzo costante di porzioni di territorio, lavorazioni agronomiche, pascolo eccessivo e incendi, hanno portato ad una forte riduzione delle specie arboree presenti e questa funzione di meriagos, prima svolta da gruppi di alberi, poi da singole piante, si è persa nei pascoli nudi.
Le aree a pascolo naturale racchiudono un’elevata e preziosa biodiversità da salvaguardare, frutto delle tradizionali pratiche pastorali.
In Sardegna a differenza di altre zone d’Italia, queste aree sono vaste e rivestono una grande importanza caratterizzando il paesaggio nelle varie stagioni.
Nel continente agricoltura e zootecnia hanno subito una notevole modernizzazione, con innegabili vantaggi in termini di rese, che hanno però portato allo stravolgimento del paesaggio rurale. In quelle aree le coltivazioni intensive, l’impiego di cultivar non autoctone, di fitofarmaci, erbicidi e concimi chimici, necessari a mantenere un sistema biologico così semplificato, hanno contribuito alla scomparsa di specie vegetali e animali, soprattutto invertebrate, impoverendo sempre più gli ecosistemi naturali e la biodiversità.
I pascoli sono importante fonte di cibo per uccelli abituali frequentatori di aree umide: I terreni pianeggianti ed impermeabili trattengono infatti l’acqua piovana, formando lande melmose che offrono agli uccelli, nel fango, i piccoli invertebrati dei quali si cibano.
Sono, inoltre, territorio di caccia per numerosi rapaci: è possibile avvistare l’aquila reale, il nibbio reale, il lodolaio, il falco cuculo, il grillaio, anche se il gheppio e la poiana, molto diffusi, sono di più facile osservazione
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