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FORESTE E PARCHI DELLA SARDEGNA
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Configurazione giuridica della proprietà forestale privata e pubblica
scorcio in Foresta a Funtanamela
Ultimo aggiornamento: 04/11/2014

Ai beni forestali è stato da sempre attribuito un regime fondiario con caratteri e condizioni «speciali»: caratteri che la legislazione forestale moderna ha via via consolidato nei tempi stabilendo vincoli, limitazioni, forme di vigilanza e di controllo anche sull’attività dei privati proprietari, ma che riscontriamo già nelle leggi e nelle disposizioni sulla tutela delle selve emanate dagli antichi Romani, poi nella legislazione forestale del Medioevo ed in quella degli Stati Italiani prima dell’unificazione.
Questa «specialità» attribuita al regime fondiario dei boschi trova origine e spiegazione in un duplice ordine di argomentazioni.
Da una parte la nozione classica della comune proprietà fondiaria, quale scaturisce dalle previsioni del Codice e della Carta Costituzionale, si differenzia sensibilmente dalla concezione giuridica della proprietà forestale i cui beni assumono la qualità di beni «ad uso controllato», cioè di cose sulle quali l’autorità amministrativa effettua determinate attività di controllo, rivolte ad assicurare un’utilizzazione conforme alle finalità di pubblico interesse.
La qualificazione «d’uso controllato» dei beni forestali porta ad escludere che una proprietà silvana possa essere considerata e disciplinata come la generica proprietà fondiaria: e pur vero che a base di questa e la terra e cioè un bene economico che per vie dirette e indirette concorre a creare la produzione nazionale ma, mentre al bene terra non può riconoscersi quel particolare attributo di strumento indirizzato a soddisfare l’interesse pubblico, tale è invece la peculiarità che caratterizza la proprietà forestale.
A prescindere dalla figura del proprietario di un territorio forestale, e cioè senza sostanziali differenze se esso sia lo Stato, la Regione, il Comune, un Ente od un privato cittadino, è accettato il principio che quel proprietario ha il diritto-dovere di disporre dei beni forestali in conformità della disciplina tecnica stabilita al fine pubblico della tutela del patrimonio forestale.
E poiché varie forme di tutela dei boschi venivano applicate già presso i popoli antichi e primitivi, poi con la legislazione romana e medioevale per giungere sino a quella oggi vigente, ben può affermarsi che la proprietà forestale è una proprietà storicamente cioè in ogni tempo — controllata e funzionalizzata.
Controllata non solo in sede strettamente teorica e dottrinaria ma anche in senso tecnico ed operativo: le guardie ed ispettori forestali di oggi trovano negli «ilori» degli antichi Greci, nei «censori» e nei «saltuari limitanei» dei Romani, nei «comites sylvestres» del Medioevo, negli «alunni forestali» del Regno d’Italia ed in altre analoghe figure i loro predecessori.
E’ funzionalizzata in quanto il proprietario non può attivare l’esercizio del suo diritto a tutte le utilità della foresta ma deve consentire che il suo patrimonio boschivo estrinsechi, unitamente al resto del territorio, una «funzione sociale» permettendo che vantaggi e benefici giungano all’intera collettività.
L’altra argomentazione che può servire a dimostrare il carattere di «specialità» attribuibile al regime fondiario dei boschi è che non può esser li per esso la classica distinzione fra proprietà privata e proprietà pubblica basata sul profilo strettamente e rigidamente soggettivo: può ben accadere infatti che una foresta, ancorché appartenente ad un privato, sia destinata a svolgere compiti d’interesse e di utilità generale e venga cosi sottoposta a disciplina pubblicistica il proprietario pur conservando diritti e t di disporne deve far salvo il vincolo di destinazione conserva il potere di godimento ma nei limiti disposti dalla pubblica autorità può esercitare sul suo fondo boschivo le utilizzazioni e le altre pratiche selvicolturali. ma sottoponendosi ai controlli ed alla vigilanza delle autorità forestali e dopo aver ottenuto le prescritte autorizzazioni.
Si intreccia in tal modo fra le due realtà di bosco pubblico e di bosco privato un univoco legame di interessi e di finalizzazioni sociali che conferisce ai due differenti regimi di beni una raffigurazione unitaria rappresentata dal fatto che sia l’una che l’altra forma sono atte a fornire utilità per tutta la collettività.
E se l’interesse comune insito nei territori forestali sia pubblici che privati comporta di dovervi instaurare determinati vincoli e restrizioni alle iniziative ed ai poteri del proprietario, non si può sottacere che a fronte di essi esistono anche numerose norme di favore che sotto diversi profili rendono il regime dei beni forestali privilegiato rispetto al comune regime rurale.
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Il regime dei beni forestali pubblici
La volontà di assicurare al Demanio dello Stato la proprietà e la gestione di beni forestali è antica nel tempo ed in quest’ultimo secolo ha trovato pratica applicazione in varie fasi ed epoche.
Inizialmente (L. 20 giugno 1871, n. 283 con la dichiarazione di inalienabilità di alcuni boschi di proprietà demaniale, essi venivano destinati principalmente alla coltura di piante d’alto fusto, vi si vietava il dissodamento ed altra destinazione che non quella boschiva e si disciplinavano le utilizzazioni con piani economici.
Successivamente 11cl quadro di una rinnovata politica forestale venivano ampliati e perfezionati i concetti giù affermati nella del 1871 e veniva data la possibilità di creare un più vasto demanio forestale dello Stato, con amministrazione autonoma, istituendo (L. 2 giugno 1910, n. 277) l’Azienda speciale del Demanio Forestale di Stato per «provvedere mediante l’ampliamento e l’inalienabilità della proprietà boschiva demaniale e con l’esempio di un buon regime industriale di essa all’incremento della selvicoltura e del commercio dei prodotti foresta.
Nel mentre procedeva l’espansione del patrimonio immobiliare boschivo arrotondando complessi già esistenti con accorpamenti di terreni limitrofi e di appezzamenti interclusi ed acquistando anche nuovi nuclei importanti, l’istituto del demanio forestale subiva due trasformazioni di sigla: una con il R.D.L. 17 febbraio 1927, n. 324, che io denominava «Azienda Foreste Demaniali» (AFD), ed una seconda con la L. 5 gennaio 1933, n. 30, che istituiva l’«Azienda di Stato per le Foreste Demaniali» (ASFD), denominazione che l’Ente ha mantenuto sino alla sua soppressione (D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616) allorquando i suoi beni e le sue funzioni sono stati attribuiti alle regioni a statuto ordinario.
Ma già le regioni a statuto speciale, in virtù appunto dei propri ordinamenti, si erano sostituite alla ASFD nei rispettivi territori con conseguente trasferimento in loro favore dei beni del demanio forestale dello Stato per quanto riguarda la Regione Sarda ciò è avvenuto in forza dell’art. 14 del suo Statuto speciale (promulgato con L.C. 26 febbraio 1948, n. 3) che così dispone: «La Regione nell’ambito del suo territorio succede nei beni e diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare e in quelli demaniali, escluso il demanio marittimo».
Con il passaggio dei beni forestali dello Stato alle Regioni non è venuta meno la loro qualifica di beni patrimoniali indisponibili, caratteristiche che vengono ad assumere anche le successive acquisizioni di terreni montani da destinare alla formazione di boschi, prati, pascoli o riserve naturali sempre che essi vadano ad inserirsi nel demanio forestale regionale.
L’inclusione delle foreste demaniali nel regime dei beni del «patrimonio indisponibile» (già dello Stato ora delle Regioni) deriva dal fatto che esse per la loro stessa natura, e non per atto di destinazione deliberato dalla Pubblica Amministrazione, sono beni idonei a soddisfare interessi delle comunità in ragione dei ben noti benefici ecologici, idrografici e climatici che i boschi arrecano alla collettività. E, conformemente a quanto avveniva per i beni forestali dello Stato, anche le foreste demaniali regionali hanno la caratteristica della inalienabilità e incommerciabilità, cioè dell’esclusione da vendite.
Per quanto concerne il regime configurato dalla legislazione forestale sui terreni che appartengono ai comuni o ad altri enti pubblici, dal semplice fatto che la legge forestale riserva solo ai beni dello Stato (ora delle Regioni) le finalità pubblicistiche consegue che non è posta alcuna limitazione alla «disponibilità» dei beni forestali appartenenti agli enti e comuni.
Monte Pisanu (foto archivio AFD)Monte Limbara (foto archivio AFD)Fiorentini (foto archivio AFD)

Gli usi civici
Trattando degli aspetti giuridici della proprietà forestale e privata si è avuto modo di intravedere quante limitazioni gravino su di essa al fine di rendere prevalente l’interesse pubblico su quello del singolo: tuttavia non mancano disposizioni, come la legislazione sugli usi civici, che mirano a liberare la proprietà e l’iniziativa privata, anche nel regime fondiario dei boschi, dagli oneri imposti da antiche leggi quando i presupposti economici erano ben diversi da quelli attuali.
Gli usi civici o ademprivi o servitù sono diritti di godimento che spettano ai cittadini (cives) componenti di una collettività territorialmente limitata (frazione, comune).
Sono di origine antichissima, retaggio di forme di sfruttamento della terra in proprietà collettiva ed hanno avuto il massimo sviluppo nel periodo feudale gli usi civici più comuni gravanti sulle proprietà forestali sono quelli di far pascolare il bestiame nella tenuta boschiva, di farvi legna, di utilizzare i prodotti annuì della foresta come foglie, castagne, ghiande. etc.
Si parla quindi di uso di pascolo, uso di erbatico, cioè diritto di falciare erba nel bosco, uso di ghiandatico ovvero diritto di raccogliere o far mangiare le ghiande nel bosco agli animali, uso di frondatico. cioè diritto di sfrondare gli alberi per nutrimento degli animali e per strame, ed ancora il legnatico ovvero il diritto di tagliare piante secche per approvvigionarsi di legna da ardere per uso do mestico ed anche di tagliare alberi vivi per uso artigianale.
Gli usi civici vengono considerati sfavorevolmente dalla nostra legislazione perché sono di intralcio alla libera disponibilità degli immobili ed all’iniziativa dei proprietari e per tale motivo ne è prevista l’abolizione.
La legge 16 giugno 1927. n. 1766. sul riordinamento degli usi civici e che è tuttora il testo fondamentale della materia, tende alla liquidazione degli usi civici attraverso l’assegnazione totale o parziale del fondo gravato da uso civico al Comune o ad associazioni.
Già la legge forestale (RDL n. 3267/1923 art. 169) aveva teso ad impedire la formazione di nuovi usi civici, ma con la legge n. 1766/1927 appare ancor più chiaro il principio che la liquidazione degli usi civici esistenti è di interesse pubblico.
L’affrancazione degli usi civici è affidata nel della Regione al «Commissariato regionale per gli usi civici» che espleta funzioni amministrative (prima procede all’accertamento dell’u.c. e poi provvede alla sua liquidazione) e funzioni giurisdizionali di grado (decide sulle controversie di esistenza, natura, estensione degli u.c.).

forestaEstrazione sugherogoceano

C. Arrica

Note
L'articolo scritto da Carlo Arrica, è tratto dal libro "L'ambiente naturale in Sardegna". Carlo Arrica, Forestale di grande esperienza ed esperto in materia amministrativa, è stato Direttore Reggente della soppressa Azienda Foreste Demaniali della Regione Sarda.

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