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Documentati i danni alla salute nelle aree a rischio della Sardegna

21.04.06 - comunicati stampa - anno 2006
Venerdì 21 aprile 2006 alle ore 12.30 presso la sala Anfiteatro della Regione Sardegna, via Roma 253, Cagliari, è stata presentata al pubblico e alla stampa la versione completa del «Rapporto sullo stato di salute delle popolazioni residenti nelle aree interessate da poli industriali, minerari e militari della Regione Sardegna».

«Gli eccessi di malattie rilevati in questo studio sono il frutto della disattenzione verso le conseguenze sulla salute degli interventi sul territorio»
Nerina Dirindin, assessore alla sanità della Regione Sardegna.

«I magistrati arrivano quando il danno è già stato fatto; bisogna intervenire prima»
Felice Casson, pubblico ministero al processo di Porto Marghera, consulente del «Rapporto sullo stato di salute delle popolazioni residenti in aree interessate da poli industriali, minerari e militari della Regione Sardegna»

E' un dato di fatto: in alcune aree della Sardegna si sta peggio che nel resto dell'Italia. In generale, ci si ammala di più di malattie respiratorie e dell'apparato digerente. In particolare, gli uomini sono più colpiti da tumori del polmone, del fegato e del sangue. Malattie che sono in gran parte causate dall'inquinamento ambientale e dalle esposizioni professionali.
Non a caso, le aree dove si sta peggio sono quelle industriali (a Nord, Porto Torres; a Sud, Portoscuso e Sarroch), e quelle minerarie di Arbus e di Iglesias. Ma non solo: anche alla Maddalena si registra un eccesso di linfomi.

La denuncia è contenuta nel «Rapporto sullo stato di salute delle popolazioni residenti in aree interessate da poli industriali, minerari e militari della Regione Sardegna» (pubblicato come supplemento al numero 1 del 2006 di Epidemiologia & Prevenzione), un'ampia ricerca voluta dall'Assessorato alla sanità della Regione Sardegna.
In tutto sono 18 le aree considerate a rischio (suddivise in industriali, minerarie, militari e urbane) che sono state analizzate nel Rapporto, per un totale di 71 comuni e circa 850.000 abitanti, ossia poco più della metà della popolazione della Sardegna. «Per la prima volta dopo lustri di inerzia la Regione compie uno studio completo, il più completo possibile in base ai dati statistici disponibili» afferma l'assessore alla sanità Nerina Dirindin.

La ricerca è stata condotta da un gruppo di medici, statistici ed epidemiologi delle Università di Udine, Torino e Firenze, con il coordinamento di Annibale Biggeri, epidemiologo e statistico medico dell'Università di Firenze. I finanziamenti sono giunti dall'Unione europea nell'ambito dell'attività di assistenza tecnica agli Osservatori epidemiologici delle regioni meridionali, fornita da ESA (Epidemiologia per lo Sviluppo e l'Ambiente, associazione temporanea d'impresa tra Azienda sanitaria di Grugliasco, Piemonte, ARPA Piemonte, Azienda sanitaria città di Milano, Università di Firenze e Azienda sanitaria Roma E).

La salute nell'isola
«Per oltre un anno il nostro lavoro è consistito nel radunare e confrontare dati già esistenti, ma che non erano mai stati messi l'uno di fianco all'altro» dice l'epidemiologo dell'Università di Torino Benedetto Terracini, uno degli autori dello studio. «I dati Istat relativi al ventennio 1981-2001 ci hanno dato le informazioni sulla mortalità nell'intera regione e nelle aree considerate, mentre dalle schede di dimissioni ospedaliere del periodo 2001-2003 abbiamo ricavato i dati sui ricoveri. Da questi dati grezzi siamo partiti per arrivare a costruire una fotografia della realtà di salute delle 18 aree considerate».

Sardegna vs Italia
Le regioni meridionali hanno perso il vantaggio di cui godevano in termini di mortalità rispetto alle regioni del centro-nord. Anzi ormai Campania, Sicilia e Sardegna sono allineate con Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Liguria e Lombardia. L'Italia si è uniformata.
«Confrontando i dati della Sardegna con quelli italiani è emersa una maggiore presenza di malattie infettive (+23% negli uomini; +12% nelle donne), respiratorie (+22%; +15%) e dell'apparato digerente (+26%; +9%). Resta ancora un residuo vantaggio per quanto riguarda le malattie circolatorie ed alcuni tumori» spiega Annibale Biggeri. «Ma informazioni più indicative sono state ottenute dal paragone tra le 18 aree considerate e il resto della regione». Le differenze di salute sono da ricercare all'interno della regione.

Aree industriali
La mortalità per malattie respiratorie era significativamente in eccesso negli uomini a Portoscuso (sono stati osservati 205 casi rispetto a 125 attesi) e a San Gavino (69/47). Morti per pneumoconiosi (termine che raggruppa malattie come l'asbestosi, dovuta all'inalazione di particelle di amianto, e la silicosi, causata dall'inalazione di particelle di silice) sono state rilevate sporadicamente, tranne a Portoscuso, dove l'eccesso era marcato (osservati/attesi 117/30).
I rischi di morte per cancro polmonare negli uomini mostravano allontanamenti dai valori attesi nelle aree di Portoscuso e Sarroch (entrambe con eccessi del 24%). A Porto Torres, la mortalità era in eccesso nei due generi per tutte le cause (del 4% negli uomini e del 9% nelle donne), per le malattie respiratorie (8 e 28%), per malattie dell'apparato digerente (13 e 21%), per tutti i tumori (ancora 4 e 9%). Anche la mortalità per tumori del fegato era in eccesso nei due sessi (18 e 21%), osservazione confermata dai tassi di incidenza del Registro tumori locale.
Tra le aree industriali, a Porto Torres è stato osservato l'eccesso più consistente di morti per tumori del sistema linfoemopoietico sia negli uomini (osservati/attesi 99/84) sia nelle donne (73/68).
«Tutte le statistiche sono state ottenute al netto del contributo portato dalle differenze socioeconomiche» dice Corrado Lagazio, biostatistico dell'Università di Udine. «Ma è da notare che le aree industriali tra il 1991 e il 2001 hanno perso il vantaggio che avevano sulla base degli indicatori di deprivazione materiale» precisa Dolores Catelan, statistica del gruppo di ricerca dell'Università di Firenze.

Aree minerarie
Nonostante una generale tendenza alla riduzione dell'eccesso di mortalità per malattie respiratorie non tumorali, intorno al 2000 entrambe le aree mostrano ancora eccessi significativi negli uomini (osservati/attesi 119/86 a Iglesias e 156/63 ad Arbus). In anni recenti, i morti per pneumoconiosi sono stati in media 20 all'anno ad Arbus e 10 a Iglesias. Anche il cancro polmonare negli uomini era aumentato nelle due aree (72/56 ad Arbus e 108/72 a Iglesias).

Aree militari
Eccessi significativi di morti e ricoveri ospedalieri per linfoma non Hodgkin sono stati osservati a La Maddalena (mortalità 1981-2001, negli uomini, 17 osservati contro 6,3 attesi, nelle donne 8/5,6). Nell'area di Salto di Quirra, nel 1997-2001 le morti per mieloma (negli uomini 5/2,3) e per leucemie erano aumentate nei due sessi (complessivamente osservati/attesi 20/13,3, statisticamente non significativo).

Aree urbane
Le aree urbane in Sardegna mostrano buoni valori degli indicatori socioeconomici considerati. Il profilo di salute a Cagliari e Sassari è quello tipico delle città del mondo occidentale. La mortalità per tumori del colon-retto, del polmone, della mammella e della cervice uterina è relativamente alta rispetto alla media regionale.

I colpevoli: l'inquinamento ambientale e l'ambiente di lavoro
Due siti nazionali oggetto di bonifica, finanziamenti importanti per opere di risanamento ambientale, testimoniano la gravità dell'inquinamento dell'ambiente nei due più importanti poli industriali sardi. Riqualificazione da un lato, tutela delle opportunità di sviluppo che ancora l'industria offre all'isola, dall'altro. Ma oggi al tavolo delle negoziazioni siede un nuovo interlocutore: la salute, o forse si dovrebbe dire la malattia. «Pur con i limiti di una indagine epidemiologica basata sui certificati di causa di morte e sulle schede di dimissione ospedaliera», illustra Catelan, «sono emerse indicazioni di danni subiti dalle popolazioni residenti nelle aree a forte pressione ambientale». Il contesto in molti casi parla da sé: eccessi di mortalità e ricoveri coerenti negli uomini e nelle donne suggeriscono il ruolo di fattori ambientali, «come documentato nel rapporto quando viene esaminata la letteratura epidemiologica e gli studi pregressi, e come quando si riportano le campagne svolte in passato sulle esposizioni della popolazione a sostanze tossiche e cancerogene» spiega Roberta Pirastu dell'Università La Sapienza di Roma. In altri casi è l'ambiente di lavoro, dove si registrano eccessi nei soli uomini ed in relazione alla presenza di lavorazioni che possono comportare il contatto con sostanze nocive o al lavoro nelle miniere.

Il futuro
«Uno studio di epidemiologia descrittiva come questo si propone di fotografare lo stato di salute della popolazione e non affronta, se non indirettamente, il problema di stabilire se esista una relazione di causalità tra fattori ambientali e rischio di malattia» puntualizza Biggeri. «Esso fornisce piuttosto una base per la definizione di priorità e informazioni essenziali per una pianificazione e una programmazione sanitaria adeguate». Compiti che reclamano un intervento da parte delle istituzioni, in primis quelle regionali.

«Questo studio è un buon punto di partenza: da qui si può procedere sia per via amministrativa sia per via giudiziaria, ma la mia esperienza sconsiglia di affidare tutte le speranze alla magistratura» osserva Felice Casson, il magistrato che ha sostenuto l'accusa al processo di Porto Marghera e che ha partecipato a questo studio in qualità di consulente. «Serve la concertazione tra istituzioni, imprese e, soprattutto, serve una stagione di verità che ci liberi dalle bugie o dai silenzi del passato. Non è facile, ma ora la Sardegna ha gli strumenti per farlo».

Per informazioni e interviste:
Prof. Annibale Biggeri, Università di Firenze e Centro per lo Studio e la Prevenzione Oncologica CSPO, cellulare: 338-9633109 oppure 329-2609883