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Intervento al Convegno nazionale del Fai (Fondo per l'ambiente italiano)

Roma, venerdì 10 novembre 2006, Palazzo della Tecnica
"Beni culturali, paesaggio e rilancio economico, e cioè, in queste ore è stato ricordato, la tutela dei beni culturali, la tutela e la valorizzazione del paesaggio, sono cose necessariamente in antitesi rispetto all'economia?

O forse la possono… non lo so, ma forse addirittura possono sostenere l'economia del nostro paese che, è stato ricordato, alla fine dall'economia, ricchezza, capacità di produrre reddito dobbiamo passare, no? Perché non è detto che i paesi più poveri tutelino maggiormente l'ambiente, la natura, e non è assolutamente detto che nei paesi più poveri sia più facile e più conveniente vivere.

E' più bello vivere, è quasi banale, lapalissiano, ma vale la pena ricordare, con un livello adeguato di reddito e nei paesi ricchi. Bisogna vedere però se la ricchezza debba essere necessariamente in antitesi e deve portarsi dietro necessariamente la distruzione di altri fattori: quelli della natura, del paesaggio, dei beni culturali, direi anche delle relazioni umane, di tante altre cose. E probabilmente stiamo dicendo di no, stiamo dicendo che forse dobbiamo pensare a un modello di sviluppo che non sia distruttivo, che non si porti dietro la distruzione di questi fattori, altrettanto importanti, perché poi la qualità della vita non è misurata solamente in reddito, non è misurata solamente in denaro.

E' vero che a un certo punto dalla ricchezza dobbiamo passare, ma la ricchezza non è solo quella. Oggi io mi sono molto stupito davanti alle slide del relatore indiano, che un pochino ci ha anche spaventato, un po' ci ha anche affascinato, un po' ci ha anche preoccupato… a un certo punto lui cercava di tradurre tutto in denaro e per farci capire quanto la natura fosse importante si è sentito in dovere di dire: '…e comunque, i beni prodotti dalla natura valgono 30.000 miliardi, i beni prodotti dalle società valgono 20.000 miliardi'.

A me quella cosa lì è una roba che non interessa per niente, non ho bisogno di alcun dato che mi confermi il valore di quello che produce la natura ogni giorno, che è più importante di ciò che producono gli esseri umani, e se penso a me stesso singolarmente non ho bisogno di niente per spiegare che capisco totalmente che la natura produce ogni giorno più di quello che produco io. E quel po' che, diciamo, quello spazio naturale che mi tocca, come uno del milione e seicentomila persone che abitano la Sardegna, quello spazio di natura vale enormemente più di me e quel tanto che produce la natura, in ogni caso produce enormemente più di me.

E quindi, stiamo attenti a mettere tutto in economia, a buttare tutto in economia e a voler considerare le azioni che facciamo, tutte sul loro presupposto economico, perché allora… quindi dico questo, che dobbiamo occuparci di beni culturali e di paesaggio, innanzitutto per noi stessi, perché penso che sono importanti per noi stessi, sono importanti la nostra storia, la nostra cultura, la nostra identità. E' importante come è importante la nostra anima, dà sapore alla nostra vita, gli dà anima, gli dà forza, gli dà motivo di essere vissuta, a prescindere dal denaro. Così come il paesaggio, il luogo in cui abitiamo, che fa parte appunto della nostra identità, il luogo in cui abitiamo e come ce ne prendiamo cura e come cerchiamo di ricostruirlo ogni volta.

E' importante la nostra vita, al di là di quello che può tradursi in bilancio economico e in economia, così come sono importanti, e credo che nessuno si sia mai spinto in là con le statistiche, gli affetti, le relazioni, l'amore. Quanto vale un bacio? Dieci euro come un biglietto del cinema? Io non lo so, nelle statistiche di stamattina non è stato considerato, e ci sono un sacco di cose quindi che non possono essere considerate e che sono importanti.

Tutto questo per dire che in Sardegna, almeno dal mio punto di vista, ci occupiamo di beni culturali, di paesaggio, della loro valorizzazione e tutela, innanzitutto per noi stessi, e quando sento un Sindaco che dice: ma poi facciamo questo perché vengono più turisti… calma, innanzitutto facciamolo per noi, per le persone che già ci abitano nel paese, perché ci sia un modo migliore di vivere in questo paese, perché si stia meglio, anche perché si stia meglio, si resista maggiormente, si continui a vivere li, che non si spopoli, che non ci si trasferisca da un'altra parte. Insomma, ci sono tanti altri motivi, poi non sono in antitesi con l'economia, anzi, possono anche aiutare l'economia, ed è quello di cui maggiormente ci occupiamo, ci si occupa nell'incontro di oggi.

Stamattina, durante l'interruzione al buffet, una persona che conoscevo da tempo, era da tempo che non ci incontravamo, magari ci eravamo visti in contesti totalmente diversi, mi ha detto: 'Ma in politica insomma, qual è il vostro progetto per la Sardegna? Cosa serve alla Sardegna?' Ed è la volontà, a volte, degli uomini d'impresa di voler sintetizzare in maniera più estrema possibile.

Certo, è difficile sintetizzare qual è il dovere della politica. Pensandoci mi viene da dire che forse la politica deve, innanzitutto, garantire libertà ai cittadini, e garantire libertà significa anche garantire un lavoro, perché senza un lavoro non c'è libertà, senza lavoro non c'è piena cittadinanza. E allora ecco, è la politica innanzitutto, e io, la nostra politica in Sardegna cosa dovrebbe fare? Garantire un lavoro a tutti, in maniera che un lavoro a tutti dia piena cittadinanza a tutti. Garantire un lavoro significa colmare un ritardo di sviluppo rispetto ad altri paesi, magari, del nord Italia o dell'Europa.

Come colmare un ritardo di sviluppo? E torniamo all'economia. Come colmi un ritardo di sviluppo? In un'economia, come è stata descritta, in un'economia globalizzata, in un mondo piatto, come è stato descritto, tutti hanno raccontato il valore delle differenze, del beni culturali e quindi dell'identità, il valore dei beni culturali, della storia, del paesaggio, della natura, e questo è sicuramente una parte.

Però, per usare slogan, oltre al mondo piatto c'è un altro slogan interessante di questi giorni, di questi ultimi mesi. E' questo: "il capitalismo Karaoke", e cioè, un capitalismo che fa il verso alle idee e all'innovazione, all'intelligenza di altri. Fa il verso così come nel Karaoke noi cantiamo peggio quello che altri hanno cantato meglio di noi e l'hanno anche pensato.

E allora, quello che mi piacerebbe nella nostra Sardegna è di valorizzare le diversità, l'orgoglio e l'amore per le nostre diversità, che sono: storia, cultura, lingua, modi di fare, pensieri che permeano tutto. Il paesaggio. Dopo questo, valorizzare l'altra grande risorsa naturale, che è l'intelligenza degli esseri umani. L'intelligenza degli esseri umani, che deve essere educata, che deve essere maggiormente istruita, che deve arricchirsi della fatica dello studio e appropriarsi della conoscenza. E attorno alla conoscenza, partendo dalla conoscenza, essere capaci di costruire impresa non Karaoke: impresa delle innovazioni, impresa della scoperta, impresa della creatività, e poiché l'economia della conoscenza non è legata solo alle tecnologie, ma anche all'arte e alla cultura, si appropri di un capitalismo non Karaoke e si appropri della capacità di produrre idee nuove, di produrre arte nuova, di produrre sensibilità nuove e attorno a questo sia capace di costruire il lavoro del futuro e colmare il ritardo di sviluppo che ancora viviamo.

Giulia Maria Crespi non si offenderà se io ricordo il nome con cui… il nomignolo con cui tanti la conoscono, che è: la zarina. Quindi, ha dato un ordine e io obbedisco. Ha detto che in Sardegna c'è stato il piano paesaggistico regionale e in effetti è vero, io me ne sono dimenticato. Se ne è parlato oggi, durante la giornata. Ne ho parlato: partendo dal Codice Urbani si è potuta fare questa legge, fondamentale, che governa il territorio, una legge fondamentale nel governo del territorio. C'è parte del paesaggio e poi, un po' più in basso, c'è l'urbanistica e poi il resto.

Il piano paesaggistico regionale è stato una storia iniziata mi pare nel 2004. Dopo qualche mese è stata approvata una legge regionale, che ha dato mandato alla Giunta di preparare in dodici mesi il piano paesaggistico. Abbiamo diviso la Sardegna in circa 20 ambiti costieri e gli ambiti dell'interno. Gli ambiti costieri è una cosa, una fascia costiera profonda circa 20-30 chilometri. E siamo partiti dall'urgenza, insomma, di bloccare il consumo del territorio. E' stato ricordato anche, alcune settimane fa, un'agenzia dell'ONU, ha detto quanto velocemente stia progredendo il consumo della fascia costiera nel Mediterraneo, e come in pochi anni il 70% della costa del Mediterraneo possa essere assolutamente costruita.

Quindi era urgente tutelare innanzitutto la fascia costiera. E' stato fatto, abbiamo organizzato un comitato di esperti di storia, di natura, di filosofia, di archeologia, di urbanistica, di diritto, insomma, abbiamo messo su una quindicina di persone e si è discusso. E man mano che si discuteva, poi, abbiamo anche preso coraggio, insomma. Prima dicevamo: bisogna, in Sardegna si è partiti nell'84, si è detto, non bisogna costruire entro i 150 metri, poi dopo qualche anno si è passati a 300 metri, e quando passarono a 300 metri ci furono gli scioperi, la gente invase le strade di Cagliari perché era un disastro che non si poteva costruire entro i 300 metri. Oggi è assolutamente nella coscienza di tutti che non si costruisca entro i 300 metri.

Noi siamo partiti valutando il paesaggio costiero. E' stata fatta un'analisi dettagliata delle coste della nostra Regione. E' stato visto questo paesaggio, che a volte si ferma a un chilometro e mezzo, a volte a due, a volte a tre, a volte anche a quattro, a seconda dell'orografia del terreno. E dentro il paesaggio costiero, dentro la fascia costiera, c'era tanto, ormai, di costruito: villaggi turistici, che son vuoti, come sapete, 10-11 mesi all'anno. Pochi paesi, tanta roba turistica e poca vita vera dei paesi e delle città. E ancora, fortunatamente, in una Regione come la nostra, tanto è intonso, tante zone meravigliose.

Abbiamo preso la decisione di dire, appunto: di cosa dobbiamo vivere? Consumando ancora quello che abbiamo, una volta per tutte? O coltivando intelligenza, creatività, facendo altre cose? E abbiamo detto che vogliamo vivere del nostro lavoro, piuttosto che da quello che abbiamo ereditato e che vorremmo restituire al futuro. Abbiamo detto che dove non si è costruito, fino a adesso, non si costruisce più nella fascia costiera, appartiene alle future generazioni e lo vogliamo tenere così. E vogliamo fare quell'edilizia buona, che ricordava il vice presidente della Confindustria, dicendo: 'Vogliamo ricostruire, vogliamo migliorare, vogliamo riqualificare, ma non vogliamo consumare più niente'.

E vogliamo essere, non un teatro di "spettacolo del turismo", ma se turismo ci deve essere io voglio che ci sia e che sia migliore. Sia turismo che viva la nostra società, che viva le nostre città, che viva i nostri paesi, e non che costringa a fare nuovi paesi solo per il turismo.

Chi li deve fare i piani paesaggistici? Li deve fare lo Stato? Li deve fare la Regione? Io credo che la Regione sia lo Stato nella nostra Regione e non distinguo più tra lo Stato e la Regione. Io mi sento un rappresentante dello Stato, a meno che non sentiamo lo Stato come una cosa diversa da noi stessi o abbiamo ancora in mente l'unità d'Italia, per cui sono arrivati i piemontesi, son venuti al sud e hanno detto: 'Lo Stato siamo noi, mentre rientriamo a casa vi mandiamo i francesi'.

Siamo cresciuti e allora siamo un pezzo dello Stato e abbiamo la vita della nostra Regione, siamo un pezzo, siamo l'anima della nostra Regione. Credo che possiamo fare quello che lo Stato dovrebbe fare nella nostra Regione, e allora, siccome quattro occhi vedono meglio di due, magari ci diamo uno sguardo a vicenda, ci controlliamo a vicenda e magari facciamo insieme quello che ciascuno avrebbe potuto fare singolarmente, ma non come qualcuno potrebbe credere: 'Lascia stare, tu di tutela non te ne devi occupare, tutelo io. Calma, tuteli tu se non tuteliamo noi, e se tutelo già abbastanza io… o meglio, non limitare la mia volontà di tutela e di valorizzazione, perché se lo facciamo noi c'è il rischio che lo facciamo meglio e semplicemente perché siamo più interessati, siamo più vicini, e perché chi è più vicino non è necessariamente un bandito, magari è anche una persona a cui stanno a cuore delle cose'.

Quindi, chi lo deve fare il piano paesaggistico? E chi deve fare la tutela? Io direi: la faccia lo Stato. Nelle Regioni la Regione è lo Stato, facciamolo assieme.
Grazie mille".