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Presentazione del libro di Giovanni Floris "Risiko"

Cagliari, venerdì 27 aprile 2007, sala convegni Banco di Sardegna
"Decisionismo. Credo che questa storia del decisionismo faccia parte, appunto, di quel bagaglio di slogan di cui la politica oggi si occupa - come viene ricordato anche nel libro di Giovanni Floris -, e occupa larga parte del tempo, anziché dedicarsi all'analisi delle cose, alla comprensione delle cose, alla possibilità di lavorare per migliorare lo stato delle cose.
In Sardegna, come in Italia, si lavora su una serie di pregiudizi, su una serie di slogan, su una serie di espressioni comuni, dove dietro è indefinito che cosa si nasconda: se si nasconda un malessere vero; un'opinione diversa, effettivamente diversa; una richiesta di un atteggiamento diverso; o se non si nasconda semplicemente la volontà di semplificazione, di una posizione diversa, una opposizione a chi in quel momento ha una responsabilità politica.

Quindi, io credo che attorno al 'decisionismo sardo' - questa idea che si ha del decisionismo alla sarda - ci sia esattamente questo: una banalizzazione della situazione, uno slogan con cui poter finire facilmente sui giornali e che sottrae invece la responsabilità di entrare nel merito delle cose; commentare sulle cose che quotidianamente si cerca di fare in questa regione.
In questa regione, alla fine, ci sono state delle elezioni con un sistema elettorale -giusto o sbagliato che sia. Io credo che sia sufficientemente giusto e poco sbagliato, rispetto ad altri sistemi elettorali, che ha dato ai cittadini la possibilità di scegliere a chi affidare la responsabilità del governo della regione e a chi affidare la responsabilità del processo legislativo di questa regione, e gli ha dato la possibilità di scegliere con sufficiente chiarezza. E credo che i cittadini, alla fine, poi vogliano che chi ha avuto questa responsabilità la usi, senta il dovere di utilizzare questa responsabilità, di vivere questa responsabilità, e se ne faccia carico, e non se ne lavi le mani, magari per l'opportunità di non viverla appieno questa responsabilità.

In questa regione cerchiamo di vivere appieno, io stesso cerco di vivere appieno questa responsabilità, e questo vivere appieno questa responsabilità genera rumore, genera fastidio, genera anche malcontento, genera anche un'opposizione forte. Genera una battaglia, genera un combattimento, per cui la politica finisce per essere questo combattimento, questa guerra infinita, a cui si richiama il libro.
Detto questo, c'è questa guerra infinita. Questa guerra infinita è sulle cose o è sugli eserciti? O è sugli schieramenti? Credo che tutti riconosciamo che sia più sugli schieramenti che sulle cose, la guerra. E per quale motivo è più sugli schieramenti che sulle cose? L'onorevole Bondi, che è appena andato via, ha detto: 'Perché c'è troppo ideologismo'.
Io non ci credo. Ne vedo pochissimo di ideologismo, non sono completamente d'accordo. Raramente mi capita di incontrare una persona da cui mi separi un pregiudizio ideologico.

Allora perché c'è questa guerra perenne? Perché questa guerra della politica sembra essere diversa dalla guerra per le battaglie dei cittadini? Cioè, da una guerra per le cose, per migliorare lo stato delle cose? Ci pensavo prima: perché è la politica con cui si combattono le nostre battaglie. E forse perché è troppo impegnata nelle battaglie della politica, e forse le battaglie della politica sono una battaglia diversa dalle nostre battaglie, dalle battaglie dei cittadini.

E allora, qual è la battaglia della politica? La politica è lì, divisa a metà, tra la guerra per il potere e la battaglia per il governo della città. E allora può essere che molta della nostra attività politica finisca per essere una battaglia per il potere, una guerra per il potere, piuttosto che una battaglia sul governo della città, sulle cose. E se è una guerra per il potere, beh, guerra sia, a tutto campo: 'alla guerra come la guerra' si dice, perché il potere è importante. E perché è importante? Beh, può essere importante per portare avanti un'ideologia, ma di ideologie non ce ne sono più tante; e allora forse può essere importante, ancora, per portare una visione della società, ma forse non è neanche tanto quello che ci divide. Forse allora può essere importante per portare avanti interessi, o per portare avanti carriere, o per portare avanti, per perpetuare il potere: per attuare, a volte, visibilità, vanità, distinzioni, e tutto quello che si ha.

E allora, se la politica finisce per essere questa guerra, la guerra della politica per la politica, la guerra della politica per il potere, certo non ha tempo per fare la battaglia del lavoro, dell'ambiente, della scuola, della famiglia, dei trasporti, della città: non ha tempo. E quando si trova a farlo, viene subito ricondotta alla battaglia vera. 'Calma, tu sei dell'altro esercito e quindi è preponderante la mia battaglia a tutto campo contro quell'altro esercito, che la volontà di partecipare anch'io, magari portando una posizione diversa, portando anche una visione diversa, ma portando comunque un contributo ad una battaglia, invece, per le cose'.

E a volte, la battaglia della politica per la politica diventa talmente folle, per cui le istituzioni smettono di dialogare, non si confrontano, smettono di collaborare. Allora un sindaco pensa: 'Ma, faccio bene a collaborare col presidente della Regione o faccio male? Mi vedono di più se collaboro o mi vedono di più se non collaboro? E' più utile al mio partito se collaboro o è più utile al mio partito se non collaboro?'. E magari può capitare che al presidente della Regione venga lo stesso dubbio: 'Ma è più utile, per il presidente della Regione, collaborare con quel sindaco o non collaborare con quel sindaco?'.

Ecco, la politica finisce purtroppo, spesso, per incartarsi su questi ragionamenti, piuttosto che dire: 'Mah, è utile che facciamo qualcosa per questa città, ognuno ci mette il suo, un presidente di sinistra e un sindaco di destra'. E purtroppo la politica, non è vero che non interessa, interessa moltissimo, e interessa gli italiani, due tipi di italiani, due tipi di politica. C'è un tipo di italiano che è interessato alla politica del potere e al ruolo politico, per cui vediamo che chiunque abbia una qualche visibilità, spesso la utilizza per costruirsi una carriera politica, e allora non capiamo più se le istituzioni con cui ci confrontiamo, o la funzione pubblica con cui ci confrontiamo, sta utilizzando in maniera leale quella funzione, quel confronto, o non lo stia facendo per costruirsi una carriera politica, per cui alle prossime elezioni ci troviamo un candidato consigliere regionale, un candidato deputato.

E allora, questa difficoltà di confronto politico tra le istituzioni spesso si allarga alla difficoltà verso le funzioni, verso altri portatori di interesse, verso le organizzazioni, verso rappresentanze di qualsiasi tipo: rappresentanze industriali, rappresentanze organizzate.
Spesso, dietro conflitti che nascono in queste rappresentanze, si celano embrioni di carriere politiche, e di quella politica che inizia a combattere per la politica, ancora prima di entrarci direttamente con la responsabilità, e si priva della possibilità, della gioia, del piacere, della necessità di fare politica, invece, per le cose; anche quando quella rappresentanza è tutta dedicata alle cose e non ad altro. Beh, insomma, tutti noi dovremmo riflettere maggiormente su questa possibilità di occuparsi di cose.

Un'altra cosa, per chiudere in fretta. Che fare? Beh, intanto ricordarci per quale motivo tutti ci siamo impegnati in politica e alla fine ci siamo impegnati, credo, per una visione ideale, per mettere a disposizione degli altri un'intelligenza, una passione, una volontà. E poi naturalmente, col passare degli anni, questa visione ideale, questa generosità, qualche volta rischia di essere un pochino messa da parte, allora ciascuno, nella sua attività, deve ogni tanto richiamarsi a quello che era, nella fase iniziale insomma, che è il significato vero di quello che si cerca di fare.

E poi abbiamo bisogno di forze nuove, di passioni nuove, di volontà nuove, di intelligenze nuove, e quindi ancora una volta i giovani e i meno giovani, e quasi c'è imbarazzo a dire 'i giovani', perché pensiamo ai giovani di vent'anni: in realtà forse stiamo pensando a quelli di trenta, a quelli di quaranta, in un Paese dove tanti giovani cominciano tardissimo. E' evidente che c'è una simmetria tra la responsabilità e, vorrei dire, anche il diritto della partecipazione dei giovani alla politica. Da una parte, i giovani sono quelli che hanno cinquanta anni di vita davanti, però, nelle decisioni per il futuro, si trovano assolutamente bloccati da chi magari, almeno statisticamente, ha cinque anni di vita davanti, dieci anni di vita davanti.
Un giovane ha ancora la sua vita davanti, e la vita dei figli è avere anche la volontà di portare un'opinione su quella che è, insomma, tutta la sua vita e la vita dei propri figli. E spesso questa opinione è totalmente trascurata da chi ormai la sua vita l'ha vissuta, e quasi è, sufficientemente, anche moltissimo avanzata la vita dei propri figli.

Allora, più giovani in politica. Più giovani in politica, più giovani nella politica delle cose, nel merito delle cose, e più giovani a cui sia permesso anche di avere ruoli di responsabilità nella vita pubblica. In questo è stato richiamato il Partito Democratico e il Partito Democratico, come altre cose, può essere un elemento importante. Può essere un elemento importante, perché ogni tanto c'è sempre questa idea che bisogna buttare giù tutto in politica, ripartire daccapo; che faccia tutto schifo, sia tutto da cancellare. E magari sostituiamo quello che cerchiamo di cancellare con delle cose improbabili, con delle avventure improbabili, con dei percorsi improbabili e non sempre particolarmente nobili.

E allora, fare politica potendo ripercorrere, invece, a pieno titolo, una storia di battaglie ideali importantissime, che comunque hanno liberato l'Italia dal fascismo, che comunque hanno salvato la Costituzione, che comunque hanno liberato l'Italia dall'arretratezza e dal sottosviluppo, e hanno dato voce politica a delle masse di diseredati. Credo che poter fare politica su questo solco sia più prezioso che poter fare politica sul solco di una rete di vendita, o della tradizione di una rete di vendita.

E in più credo che sia importante poter fare politica, oggi, dentro il Partito Democratico, per un motivo: è la prima volta che capita che dei partiti e delle classi dirigenti si mettano in gioco e si spoglino di una rendita di posizione; si spoglino del proprio marchio; si spoglino della propria struttura; si spoglino della propria rete di protezione. E non lo fanno sulla spinta delle procure o dei tribunali, dei cittadini che stanno per strada e quasi rischiano di linciarli: lo fanno invece in totale autonomia, lo fanno con generosità, mettendo i loro partiti e mettendo le loro persone, effettivamente, al servizio del Paese. Per questo io ci spero molto, spero che il Partito Democratico riaccolga i giovani, e spero in un Partito Democratico che faccia battaglie in queste cose e che semplifichi e tolga la battaglia della politica per la politica."