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Dibattito sul digitale terrestre col ministro Paolo Gentiloni

Cagliari, martedì 24 luglio 2007, Palazzo Regio
"Grazie a voi. Prendo volentieri la parola dopo aver ascoltato, cercando di non sottrarre troppo tempo al ministro Gentiloni, che tutti attendiamo. In effetti probabilmente, se non fosse venuto il ministro Gentiloni non avrei partecipato a questo convegno, come non ho partecipato a quello precedente, perché in effetti è un convegno sufficientemente per addetti ai lavori, di comunicazione, che parla di comunicazione, di mondo di operatori della comunicazione, delle imprese della comunicazione, e si sono attardati giustamente su problemi tecnici, su difficoltà gestionali.
Probabilmente non sarei venuto, perché abbiamo già parlato diverse volte di questo argomento e io ci ho una visione totalmente diversa da quella che ho sentito anche oggi. Però probabilmente sarà minoritaria, forse è minoritaria oggi in Sardegna, ma io credo che il tempo mi darà ragione in questa visione diversa. La provo a semplificare, anche se intendo il dibattito, come è andato così configurandosi, mi pare che i temi trattati siano essenzialmente due: da una parte interessava i giornalisti sapere che cosa cambierà nel mondo digitale, una tecnologia diversa, che cosa cambierà per la professione dei giornalisti. Che cosa cambierà anche per il contesto in cui il giornalismo opera nel mondo della comunicazione, e quindi la libertà di stampa, la pienezza di opinioni, la ricchezza dell'offerta di contenuti nel dibattito. Che cosa cambierà nella professione e nel contesto? D'altra parte che cosa cambierà invece nell'impresa, nell'impresa che di comunicazione si occupa e che dell'uso di diverse tecnologie è maggiormente responsabile?

Vorrei dire due cose: in Sardegna se n'è parlato fin troppo di televisione digitale, vorrei dire, non credo che se ne parlerà così tanto in qualsiasi altra regione italiana. Se n'è parlato in una maniera esasperata, al di là di ogni proporzione con qualsiasi altro argomento che ha attraversato la nostra regione in questi ultimi due anni. Se n'è parlato perché, quando chi comunica parla di se stesso ha la possibilità di regolare il volume e ha deciso di regolarlo a voce alta su questo argomento, altre volte abbassandolo e qualche volta spegnendolo del tutto, una decisione.
Ma essenzialmente, per quello che capisco io, per quello che ho capito fino ad adesso, si tratta semplicemente della televisione che da analogica diventa digitale. Questo è la televisione digitale di cui io mi sono interessato, non perché mi ci sia voluto buttare a capofitto in questa regione, ma perché a un certo punto il precedente ministro, i precedenti ministeri, insieme alle televisioni nazionali e locali, sono venuti a dirmi: “Ci sarà la televisione digitale e la dobbiamo sperimentare innanzitutto in due regioni, che abbiamo già scelto e scelto per motivi fisici, non ideologici, perché questa è l'unica vera isola d'Italia”. E per estendere la sperimentazione hanno cercato un'altra isola, dal punto di vista delle frequenze, della propagazione delle frequenze, che è quella delle valli alpine, della Val d'Aosta.

Posto davanti al fatto che comunque si sarebbe utilizzata la nostra isola per sperimentare, ho cercato di fare in modo che ci fosse il maggior vantaggio possibile per questa regione, in termini di lavoro soprattutto, che è quello che maggiormente ci interessa. In termini di possibilità di ricerca, di avanzamento tecnologico e di lavoro, non per la nostra regione, ma di lavorare soprattutto per l'esterno della nostra regione. In questo senso sono andate le prime conversazioni e devo dire che il tempo mi ha dato ragione, perché in questi ultimi due anni in realtà molto poco si è fatto sotto questo punto di vista, e a molto poco sono valse le premesse iniziali, magari anche da parte della Rai, di portare in Sardegna una parte importante della ricerca tecnologica, di portare in Sardegna nuova programmazione, di portare in Sardegna del lavoro, di avere una parte di produzione Rai in Sardegna.
Ritenevo che sarebbe potuta essere importante anche la sperimentazione del digitale, per il fatto che, a parità di frequenze, un maggior numero di canali si sarebbero resi disponibili, e questo maggior numero di canali non dovevano essere immediatamente occupati da chi già li occupa con la televisione analogica ma, con una percentuale fissata dal ministero, dovevano essere messi a disposizione di nuovi editori, e francamente non ne ho visto neanche uno in questo primo periodo, e un canale doveva essere messo a disposizione della Regione, per sperimentare nuove modalità di informazione del cittadino. Dopo esser passati per tanti anni attraverso l'informazione con la carta stampata, con le riviste, con Internet adesso, e il mondo in cui la tecnologia dovrebbe essere neutrale, dare la possibilità anche a questa Regione di avere migliore modalità di comunicare coi suoi cittadini.

Poi, in un processo che si è accelerato, qualcuno oggi ha ricordato perché era così particolarmente accelerato: questa possibilità venne in qualche modo discussa, discussa tantissimo. Si cercò di limitare, per un motivo che anche chi mi ha preceduto, il dirigente della Rai, di Raitre, che mi ha preceduto ha ricordato, cioè, una qualche diversità di interessi: da una parte di Raitre, di comunicare, di fare comunicazione locale; dall'altra della stessa Regione di fare informazione locale, e del mondo delle televisioni locali, che anche loro difendono l'esistente, è comprensibile.
In Sardegna questo discorso si è aggiunto dell'idea iniziale che la televisione digitale sarebbe stata… fece un suo precedente governo, anche coniando lo slogan del 'T-Government', che è veramente, per me, raccapricciante, pensando che, laddove non arrivava Internet sarebbe potuta arrivare la televisione digitale, e che la televisione digitale fosse un modo nuovo, più popolare, più semplice, più diffuso, di interattività.
Io, a due anni di distanza, penso di aver definitivamente capito che l'interattività si chiama Internet, la televisione si chiama televisione, come televisione broadcast è nata e come televisione broadcast morirà: non c'è interattività. L'interattività è un'altra storia, e francamente sentir dire che però questa è gratuita e l'altra è a pagamento, elitaria, veramente dispiace, perché la battaglia che dovremmo fare è fare in modo che costi il meno possibile, è costata anche gratis, è anche gratis ancora oggi secondo certe modalità, e sia a disposizione di tutti nel miglior modo possibile.

Questa è la battaglia che dobbiamo fare, non considerarla elitaria, laddove anche la televisione gratuita, qualora volesse avere un briciolo di interattività, in ogni modo da quella stessa rete deve passare, e quindi quella distinzione è veramente, totalmente fuori luogo e fuorviante. La televisione fa televisione broadcast e lì muore, la rete è un'altra storia, con caratteristiche totalmente diverse, con modalità totalmente diverse, con margini di libertà, di partecipazione, di accesso, totalmente diversi, incommensurabilmente diversi: quindi, veramente, è un discorso che proprio non dev'essere nemmeno iniziato.

Oggi la Regione è stata chiamata in causa, perché già un anno fa ha chiarito che non ci crede a quell'interattività, e che quindi non investirà nemmeno un euro della Regione in quell'interattività, e tantomeno con quella modalità. Appunto, è un convincimento profondo, un convincimento profondo che… per parlare, c'è qualche secondo ancora, per di più la Regione sta facendo, insieme al ministero, con l'aiuto del ministero anche, delle cose importanti. Ad esempio - l'assessore Dadea qui presente, responsabile nel suo assessorato - è stato portato avanti il piano per il superamento del 'digital divide' in Sardegna. Pensavamo di riuscirci entro la fine di quest'anno, ci riusciremo nel primo semestre del 2008. Per la Sardegna questo, sì, credo che sarà un primato tecnologico: probabilmente sarà la prima regione d'Italia dove il 'broadband', la banda larga, sarà accessibile in qualsiasi paese, nel paese più piccolo, dove ci sono magari 300, 400 anime. E devo dire che da presidente della Regione ho ricevuto un sacco di telefonate di sindaci, qualche volta anche lettere, qualche volta accompagnate anche dalle molte firme dei cittadini, che mi chiedevano di fare tutto il possibile per portare la banda larga il più presto possibile in quel paese, non ho mai ricevuto neanche una telefonata di un sindaco che mi abbia sollecitato… o che mi diceva che magari un certo canale non si prendeva sufficientemente bene in quel paese. Evidentemente c'è un livello di interesse decisamente diverso, e lo comprendo, per il fatto che per informarci, per trascorrere qualche serata, qualche ora in compagnia, ormai l'offerta è abbastanza ricca.
Laddove invece Internet manca, semplicemente manca una possibilità di competere per le imprese, manca una possibilità di studiare meglio per gli studenti, mancano possibilità effettivamente che nessun altro mezzo può dare.

Ancora, sul consorzio 'Sardegna digitale' e sull'utilizzo di quella piattaforma, io sono contentissimo che ci sia stato questo esperimento, sono contentissimo se professionalità si sono formate, sono contentissimo se comunque qualcuno ha arricchito il suo bagaglio di conoscenze, andando più avanti, magari fino a comprendere che forse la strada era sbagliata e dovrà tornare indietro e cambiare strada. L'arricchimento di una conoscenza è sempre importante, però, per provare a motivare perché la Regione non crede e non investirà nel consorzio 'Sardegna digitale', almeno fintanto che ne avrò io la responsabilità: perché la Regione vuole eventualmente investire nel dare due notizie attraverso la rete televisiva, su un canale televisivo, con la stessa modalità con cui ha investito finora per trasmettere notizie su Internet, e cioè, se l'è fatta al proprio interno. Ha una piattaforma, ormai, di mercato 'open source' in gran parte - con quattro soldi fa quello che deve fare e poi accede alla rete, e chi vuol trovare quei contenuti se li cerca e se li trova.
Per citare ancora un altro numero magico, che ricorre nell'informazione sarda, vale la pena forse dire che gli utenti unici dei siti della Regione oggi sono circa 60-70.000, che ogni giorno, non per sbaglio, non per abitudine, non per i tre famosi vizi che citava il dottor Birocchi all'inizio, ma perché hanno deciso e forse perché ne hanno un'utilità, ci vanno, si trattengono, vedono almeno 13-14 pagine, insomma, fanno quello che devono fare, ed è stato fatto senza grandi investimenti da parte della Regione, e lo fanno avendo accesso ad una rete libera.
La Regione non ha interesse a fare in modo che le stesse informazioni debbano essere invece trasmesse attraverso l'accesso a una rete chiusa, a una rete privata, e dovendo pagare per poter accedere a quella rete, cioè, non voglio trasformare a pagamento qualcosa che oggi è gratuito per il sistema pubblico: è gratuito e più efficiente.

Casomai questa liberazione di frequenze, questo uso più efficiente delle frequenze, deve servire per fare in modo che qualche frequenza sia liberata in favore della Regione, e fare in modo che la Regione o il sistema pubblico, lo Stato, chiunque, abbia la possibilità di accedere a queste frequenze, per poter trasmettere gratuitamente le informazioni che riterrà necessario trasmettere. Mi risulta difficile, appunto, trasformare in una cosa a pagamento qualcosa che oggi può essere gratis e soprattutto, per il futuro, contribuire a creare un modello, dover pagare qualcuno per fare qualcosa che in realtà non costa nulla fare, grazie a disponibilità di programmi 'open source', che trasformano immediatamente dei contenuti, da una piattaforma tecnologica all'altra, e infatti la Regione in questo momento, attraverso il Crs4, sta facendo ricerca, insieme a un importante centro di ricerca piemontese che nacque anche, credo, grazie all'esperienza dell'Italia. Sta facendo ricerca su programmi 'open source', che permettono questa totale trasparenza da una piattaforma digitale all'altra, questa totale neutralità tecnologica per l'accessibilità e la fruizione dell'informazione.

La Regione punta a portare, ormai in meno di un anno, la banda larga in tutte le case dei sardi e in tutte le imprese dei sardi, ed è peraltro facilissimo farlo. È facilissimo farlo se poi ci sono le norme, se l'autorità garante funziona. In Sardegna la difficoltà maggiore è avere accesso ai tetti delle centrali Telecom. Se ci fosse maggiore libertà di accesso ai tetti delle centrali Telecom si sarebbe già potuto fare. Ma con difficoltà poi questa cosa è stata discussa, la Regione ha fatto un bando, naturalmente ha vinto Telecom Italia e grazie a un bell'accordo con Telecom Italia la Sardegna avrà la banda larga facilmente, con pochissimi investimenti, in ogni paese, e credo che a cuor leggero si stanno discutendo. Quindi, l'interattività ha una sua strada tracciata, è la storia, è la tecnologia, la Sardegna non riuscirà a fare diversamente.

Per quanto riguarda invece il contesto, la professione dei giornalisti e il contesto dell'informazione, della libertà di accesso all'informazione, io credo che la televisione digitale un ruolo lo possa avere, non fosse altro per il fatto che ha un limite tecnologico: il numero delle frequenze a disposizione. Associando una tecnologia di miglior sfruttamento di quelle frequenze si riesce a moltiplicare per quattro, per cinque, per sei, non so quanto sarà in futuro, il numero di canali che possono essere utilizzati. Questa moltiplicazione deve servire a rafforzare la posizione di chi c'era già? Dominante o non pienamente dominante? No, credo che negli intenti del legislatore c'era quello di rafforzare invece, o assecondare una pluralità, laddove anche questa non esisteva.
E allora io auspico, spero, che in Sardegna a questo si assista: di nuovi editori, anche nuovi editori televisivi, che abbiano la possibilità di occupare uno di questi canali. Poi spero una cosa e lavoro per un'altra cosa. Io capisco tutti i limiti della Rai, comprendo il dibattito, i limiti della tv di Stato, ma staremmo meglio se non ci fosse la tv di Stato? Ci sarebbe più democrazia? Più certezza? Più sicurezza se avessimo solamente la tv di Berlusconi o di Murdoch, o un domani di De Benedetti, o di Caltagirone? Staremmo meglio? È inutile forse la tv di Stato?

Io credo che sia indispensabile alla democrazia la tv di Stato. Magari regolata diversamente, magari meno occupata dai partiti, magari con delle forme che garantiscano tutti, diverse, ma credo che sia un pezzo della democrazia la tv di Stato, un organo quasi della democrazia, e questo stesso tema lo sto ponendo in Sardegna, nella regione. È utile il servizio pubblico in Sardegna? Io penso di sì. Io penso che sia indispensabile, penso che sia un pezzo della democrazia: in Sardegna e in qualsiasi altra regione.
Se il Presidente della Regione, che capisco che possa essere noioso, forse anche poco interessante, forse anche poco telegenico, qualsiasi cosa, ma è comunque il Presidente della Regione, che hanno votato e sul quale almeno per un istante si è riconosciuta la maggioranza di una regione; se ha bisogno di dire qualcosa ai cittadini di questa regione cosa deve fare? Deve girare 370 paesi? O a chi si deve rivolgere per dire qualcosa? In questo mondo cambiato, in questo mondo della comunicazione di ogni momento, di sempre? Lo può dire alla Rai? Io credo di no, credo che la Rai non abbia nelle sue modalità la possibilità di fare un'intervista al Presidente della Regione quando la richiede, magari anche solamente una volta all'anno. Magari di essere intervistato per fare, in un quarto d'ora, la sintesi di quello che lui pensa sia accaduto in Sardegna in un anno; e se poi la Rai è anche così distratta, che nel momento in cui si dà la notizia che in Sardegna verrà celebrato, si terrà il G8, nel 2009, quella è la quinta notizia del telegiornale della Rai, abbiamo un problema, se c'erano quattro notizie più interessanti di quella.

E allora, chi lo garantisce il servizio pubblico? In quali modi? Chi lo garantisce, in qualche modo, l'uso democratico della possibilità di comunicare e di accesso alla comunicazione anche da parte del presidente della Regione, che comunque è l'istituzione. E riconoscendo che in Sardegna abbiamo, non buoni, ma ottimi quotidiani locali, e mi dispiace perché sarebbero potuti essere 'ottimissimi' se vincessero una qualche difficoltà. Abbiamo ottime televisioni locali, per la storia della tivù locale, nondimeno dovremmo dire, io ho chiesto da tre anni di essere intervistato da Videolina e non sono mai stato intervistato. L'ho chiesto, credo anche per iscritto, di essere intervistato almeno una volta all'anno da Videolina e non lo sono mai stato. Intervistato vuol dire essere intervistato come sono intervistati i 100 politici che fanno politica in Sardegna, o i tanti sindacalisti, e lo stesso accade per un importante quotidiano della Sardegna.

Allora credo che abbiamo un problema di accesso, e allora io credo, non per me, ma per chi verrà dopo di me, perché a me mi hanno intervistato pure le televisioni nazionali prima delle televisioni locali, fino ad adesso, ma per chi verrà dopo di me io credo che sia importante avere accesso alle famiglie dei sardi, nel momento in cui si deciderà.
E allora io credo, in poche parole, che la Sardegna debba avere la sua Rai regionale. Certo, non con il potere di nomina del direttore da parte del Presidente della Regione o del Consiglio regionale. Stabiliamo, una volta per tutte, chi sono le 50 persone che nominano il direttore e che vigilano sull'imparzialità, non sulla televisione ..., sull'imparzialità e sul diritto di accesso di tutte le istituzioni, che è, più o meno, quello che si fa in Inghilterra con la BBC.
Allora, io auspico che ci sia una legge regionale, io auspico che ci sia un canale regionale, che affianco a questo canale regionale ci sia Raitre, il servizio pubblico, con cui fare un contratto di servizio e al quale contribuire anche al costo, anche perché non faccio più distinzioni io, fra quello che paga lo Stato e quello che paga la Regione, siamo lo stesso… qualcuno alla fine pagherà. L'importante è che spendiamo bene i soldi, l'importante è che spendiamo il meno possibile, e sono gli altri i modi per farsi pagare dallo Stato il dovuto, per farsi restituire dallo Stato il dovuto, nella nostra regione.

Quindi, Raitre sul digitale, col contratto di servizio pubblico, e poi un canale della nostra Regione, dove si faccia informazione, dove si garantisca l'accesso alle minoranze, dove si garantisca l'accesso a tutti. Non in mano alla politica, ma certamente neanche in mano agli editori. In mano ai sardi, a tutti.
Quindi, questo è quello che io cercherò di fare e che non deve essere visto in conflitto con la televisione locale. La televisione locale ha il suo business, ha le sue cose, è sicuramente un arricchimento in più, ma ci dev'essere la garanzia per tutti di farsi intervistare quando si deve essere intervistati; e ci dev'essere la garanzia per tutti di poter spiegare ai sardi le cose, almeno una volta ogni tanto. E c'è la responsabilità, è un dovere della politica comunicare oggi; ed è un dovere anche contrastare la comunicazione, quando questa è quantomeno insufficiente o parziale.
E allora, io sento fortissimamente il dovere che questa Regione si detti una legge e si doti, con delle modalità ancora da definire, di una rete pubblica, una rete pubblica regionale, che è fondamentale alla democrazia, quanto ritengo fondamentale alla democrazia la televisione dello Stato."