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Tuvixeddu, la Regione ricorre al Consiglio di Stato

Cagliari, lunedì 25 febbraio 2008, Palazzo Regio
"Ringrazio io voi per aver organizzato questa riunione, per continuare a discutere su questi temi e per darmi la possibilità di dire qualcosa.
Non voglio neanch'io commentare la sentenza lunghissima, di oltre cento pagine, legittimamente scritta da dei giudici, che hanno esercitato la loro potestà, la loro funzione. Allo stesso modo è nella nostra funzione, nella mia responsabilità, se non di commentarla di oppormi a quella sentenza, di oppormi con tutte le forze e in tutti i modi possibili.
Per questo ci opponiamo a quella sentenza. Per questo in questo momento stiamo preparando il ricorso al Consiglio di Stato. Per questo chiederemo di tutelare - affinché non ci siano dei danni gravi e irreparabili - i luoghi, nel frattempo che si arrivi ad una sentenza di merito definitiva, da parte del Consiglio di Stato.

Peraltro io non sono così sconsolato, sono piuttosto fiducioso, perché ritengo che siamo dalla parte buona del diritto, nonostante una sentenza così lunga, perché non è raro, anzi accade spesso, che le sentenze del Tar siano ribaltate dal Consiglio di Stato, cioè, in senso favorevole alla Regione. E' accaduto anche recentemente su questioni importanti, e dove forse le questioni erano meno chiare.

Su questa cosa, posto che si tratta di un problema molto complesso, dal punto di vista tecnico-giuridico, posto che avete già parlato ampiamente stamattina, volevo dire due cose, che raccontino un pochino il senso, dal nostro punto di vista, di quello che abbiamo cercato di fare. Il senso è il comportamento dell'amministrazione regionale di questi anni, e lo dico anche per, in qualche modo, in contrapposizione a tanti passaggi, che sono contenuti nella sentenza e che molti di voi hanno letto.

Non è che ci siamo alzati una mattina e abbiamo detto: 'Beh, cos'è che possiamo fare oggi per danneggiare qualcuno?'. E' dalla campagna elettorale che abbiamo detto che cosa avremmo voluto fare nella tutela dei beni culturali, nella valorizzazione e tutela dei beni culturali e nel governo del territorio. Nel governo del paesaggio, degli elementi più deboli e più in pericolo del paesaggio della Sardegna.

Abbiamo fatto una campagna elettorale dicendo dell'importanza del vuoto, l'importanza del silenzio, l'importanza del buio, l'importanza del fatto che la vita non si concluda oggi, che ci sono generazioni future, che arriveranno dopo di noi. Che non tutto quello che non è stato ancora venduto e mercificato è privo di valore, e anzi, che forse i valori più importanti risiedono in quello che ancora non abbiamo consumato e in quello che riusciremo a lasciare alle generazioni future.

E' da anni che stiamo dicendo queste cose, non ci siamo alzati una mattina per fare del danno a qualcuno, di cui veramente non ci interessa niente.
Abbiamo fatto un Piano paesaggistico regionale innanzi tutto, avviandolo in pieno agosto, credo un mese e mezzo dopo l'insediamento della Giunta regionale, in cui abbiamo detto delle cose. Probabilmente oggi non avrei più il coraggio di proporle, però, nell'agosto del 2004 abbiamo fatto una delibera di Giunta in cui abbiamo detto: fermi tutti, non si costruisce in tutte le coste della Sardegna, utilizzando l'articolo 14 mi pare, della legge urbanistica regionale, che permetteva di porre un vincolo, di sospendere per tre mesi e eventualmente rinnovare, in attesa di una legge.

Abbiamo bloccato qualsiasi edificazione nelle coste, per tre mesi. Potete immaginare quanti diritti acquisiti sono stati bloccati, quante concessioni edilizie, quante lottizzazioni approvate, quante aspettative di privati. E grazie a quella sospensione il Consiglio regionale ha avuto modo di approvare una legge, che poi ha delegato la Giunta della costruzione di un piano, la presentazione di un piano; e grazie a questa legge la sospensione in gran parte dei casi si è protratta a lungo, dando il tempo necessario, diciotto mesi, per la preparazione dei piani. I piani che sono stati discussi a lungo, con tutte le parti interessate, e che con una discussione importantissima poi si è concluso, è stato approvato in Consiglio regionale, definitivamente.

Ora, il Piano paesaggistico regionale che cosa è? Fuori da tutte le norme, eccetera? La considerazione che, appunto, non tutto deve essere mercificato, non tutto deve essere venduto, non tutto deve essere consumato, anzi, che è nella nostra piena responsabilità, nel nostro pieno dovere, fare qualcosa per contrastare un fenomeno estremamente veloce, di consumo, di costruzione di una città lineare; di costruzione della percezione della natura. Tutto questo perché avremmo finito per vivere peggio; tutto questo perché avremmo finito per far vivere peggio le generazioni future; e tutto questo, ultimo, anche perché non è funzionale a un modello di sviluppo di lungo periodo. Tutto questo avrebbe anche finito non per arricchirci, ma per impoverirci. Arricchire qualcuno, ma impoverire qualcun altro.

Questo è il Piano paesaggistico regionale, e il Piano paesaggistico regionale comprende, grazie al codice Urbani, la possibilità, anzi, ha attuato una cosa abbastanza rivoluzionaria: ha cancellato milioni di metri cubi. C'erano milioni di metri cubi di diritti acquisiti; c'erano milioni di metri cubi di lottizzazioni approvate; c'era un sacco di gente che aveva già fatto un contratto con la pubblica amministrazione, che però, grazie al fatto che il bene pubblico ha comunque un valore prevalente, si è potuto sovrapporre e ha potuto cancellare una quantità enorme di diritti acquisiti in Sardegna, non per l'arbitrio di qualcuno, ma sulla base del valore superiore del bene pubblico.
C'è qualcosa che è stato fatto salvo, ma c'è una vasta parte, una vastissima parte di diritti di costruzione che sono stati cancellati. Sono state fatte salve le lottizzazioni dove non solo si era fatto un contratto, ma dove era stato fatto il reticolo stradale, dove erano state portate a compimento delle opere per cui quei lavori lì erano, di fatto, irreversibili. Tutto quello che non era irreversibile, contratto o non contratto, il Piano paesaggistico l'ha cancellato, e questo principio, fondato sul codice Urbani e sui decreti legislativi successivi, è stato difeso dal Tribunale amministrativo regionale della Sardegna, ed è stato ribadito come valido, ed è profondamente indiscutibile.

Mentre abbiamo fatto il Piano paesaggistico regionale della fascia costiera, in queste settimane credo di portare a termine quello delle zone interne. Non potendo occuparci di tutto, comunque, chi ha costruito il piano si è occupato della fascia costiera. Nella fascia costiera c'è anche Cagliari, e Cagliari non è solamente le sue spiagge o i suoi terreni sul mare, dove il piano paesaggistico aveva qualcosa da dire. Cagliari è necessariamente anche il colle di Tuvixeddu. Per cui, sulla base di quello che si conosce, sulla base di tutto quello che voi avete fatto nel passato, sulla base di tutto quanto era ampiamente risaputo, il Piano paesaggistico regionale, già nel 2006, ha messo un nuovo vincolo su Tuvixeddu. Un vincolo che andava al di là dei vincoli già esistenti, di quello del 1960, degli anni '60, quello degli anni '90. Un vincolo che è stato fatto sulla base di nuove leggi, che sono scritte non per occupare gli scaffali, ma per essere attuate, e che ci dicono: 'State attenti, che dovrete comportarvi, nell'amministrazione della cosa pubblica, secondo questa legge, che attua, che mette in pratica, o che descrive un diverso atteggiamento, una diversa concezione dei valori culturali, dei valori naturali, dei valori paesaggistici'.

Il Piano paesaggistico ha messo un vincolo su Tuvixeddu. A quel punto non c'era ancora una concessione edilizia data, non c'era ancora una strada, un lavoro fatto: c'era il nuovo vincolo e non c'era ancora una casa. Il Piano paesaggistico è stato rispettato in tutta la fascia costiera, dove era stato individuato un bene paesaggistico d'insieme, e noi ci aspettavamo che potesse essere rispettato e che andasse rispettato anche in un altro bene paesaggistico che è stato indicato, che è appunto il colle di Tuvixeddu. Lì si è detto: 'Eh no, esiste già un accordo di programma, esiste un contratto oltre alla pubblica amministrazione, quindi si può andare avanti'. In realtà il Piano paesaggistico regionale ha fatto esattamente il contrario: ha cancellato un sacco di questi programmi e li ha bloccati, sulla base dell'interesse pubblico prevalente. E lì, negli ultimi mesi, di corsa, nel mese di agosto, quando si è capito che qualcosa stava accadendo nella maggior tutela, hanno dato, nel mese di agosto, qualche concessione edilizia. Si è aperto in fretta e furia un cantiere, si è cercato di mettere tutti davanti al fatto compiuto.

Ora, io ricordo benissimo. Magari non avremmo agito con urgenza, forse non avremmo immediatamente nominato la commissione regionale, che pure andava nominata, non avremmo dato mandato alla commissione di guardare nel dettaglio questo vincolo, che avevamo già messo sul Piano paesaggistico regionale, e specificarlo meglio, se un giorno, uscendo dall'ufficio, non mi fossi accorto, andando a prendere un panino in viale Sant'Avendrace, che avevano buttato giù una casa e che tutto Tuvixeddu stava venendo giù in viale Sant'Avendrace. Per la prima volta un cittadino normale aveva la percezione del colle di Tuvixeddu, delle tombe, delle preesistenze, semplicemente passando in viale Sant'Avendrace. Cioè, per la prima volta tutta quella quinta, che negli ultimi dieci anni, quindici anni, è stata costruita per mettere un muro, per cancellare, quasi si vergognasse di quello che c'era dietro, appariva nuovamente. Allora, uno che amministra che cosa fa? Deve pensare semplicemente a raccontar storielle o deve anche prendersi qualche responsabilità?

Credo che fossimo ancora nel 2006. Poi sono tornato in ufficio, ho chiamato l'Assessore alla Pubblica Istruzione e ho detto: 'Che cosa possiamo fare? Cosa dobbiamo fare? E' evidente che abbiamo l'opportunità di ricordare ai cagliaritani che esiste Tuvixeddu. E non solo ricordarlo ai cagliaritani, arricchirci anche tutti quanti, anche materialmente, perché la città è certamente più bella, più preziosa. Se anche costerà un milione, due milioni, tre milioni, al di là dei mille dettagli, si può dire che è imprescindibile? Che quella porta che si è rivelata debba rimanere tale?'.

Ho chiamato l'assessore dell'epoca, Elisabetta Pilia, e con la Giunta regionale abbiamo subito deliberato di mettere una sospensione, in attesa di provvedimenti più precisi.
Certamente abbiamo sbagliato quel procedimento amministrativo, l'abbiamo fatto sulla base di norme che erano superate. Quando ci siamo accorti di come andava perfezionato quel procedimento amministrativo, stavamo approfondendo le cose, ci siamo accorti che c'era da nominare la commissione regionale e seguire un percorso diverso, che è esattamente quello che abbiamo fatto. Nel frattempo, nel 2006, abbiamo detto: 'Quell'area lì è estremamente importante, mettiamoci subito un vincolo, poi facciamo quello che dobbiamo fare per acquisirla al patrimonio pubblico', cioè, per espropriarla. E non è che abbiamo detto: 'La vogliamo prendere gratis o la vogliamo pagare mille, o tremila'. Abbiamo semplicemente detto: 'E' importante che sia un bene pubblico, e poi ci saranno le norme che ci dicono quanto deve essere pagata, in maniera che il privato non sia danneggiato', o cose di questo genere.

Quindi, la Giunta ha detto subito che cosa voleva fare con quell'area. Ha nominato una commissione e gli ha detto: 'Occupatene'. Non è che gli ha detto: 'Dovete decidere questo e quello', gli ha detto: 'Occupatevi di quest'area, dove noi abbiamo messo un vincolo generale del Piano paesaggistico regionale, occupatevi di approfondire che cosa deve essere fatto'. Ora, in quella commissione noi non è che ci abbiamo messo politici o amici, io ci ho messo persone che forse avevo sfiorato nella mia vita. Ci abbiamo messo un esperto botanico, un esperto archeologo, ci abbiamo messo un esperto architetto, ci abbiamo messo una professoressa che si era occupata di queste cose.

Malauguratamente per loro hanno accettato, per cui, e poi arrivo su questo, questa commissione ha discusso, ha fatto le sue cose, ha scritto credo, anche delle pagine amministrative bellissime, motivando le sue decisioni. Sulla base di quelle decisioni la Giunta ha fatto quello che doveva fare, già dicendo che non si sarebbe accontentata di mettere un vincolo, ma era semplicemente il primo passo. Avremmo fatto, faremo, anche quello successivo, di dichiarare non solo l'interesse pubblico, ma la pubblica utilità, e di acquisirlo al demanio regionale, affinché si possa non solamente mettere un vincolo, ma restaurare quel paesaggio, renderlo fruibile e renderlo capace di caratterizzare meglio di quanto non abbia fatto finora, in maniera manifesta, questa città.

Ora, io mi chiedo, ma la pubblica amministrazione - posto che non esiste più il vice Re a cui appellarsi e che facilmente può salvare la grotta della vipera; posto che non esiste più quel vice Re, e quel tipo di vice Re - ma la pubblica amministrazione può ancora, nelle forme previste per legge, con le consultazioni previste per legge, come la commissione, può ancora lei, autonomamente, dire cosa è che ritiene importante dal punto di vista culturale? Cos'è che ritiene importante dal punto di vista naturalistico? Dal punto di vista del paesaggio? Dal punto di vista della qualità urbana? Può ancora legittimamente dirlo e nel caso tutelarlo? E nel caso acquisirlo al demanio, ponendo che c'è un interesse pubblico che prevale rispetto a un interesse privato? Io penso di sì, credo ancora di vivere in questo tipo di Italia e quindi sono tranquillo che alla fine questa storia andrà a finir bene, perché penso che viviamo ancora in un paese che alla fine tutela il bene pubblico, fondamentale, rispetto anche ai legittimi interessi privati, che poi vanno in qualche modo ricompensati.
Allora, Piano paesaggistico regionale, che ha tutelato l'interesse pubblico cancellando centinaia, se non migliaia di contratti con la pubblica amministrazione. Piano paesaggistico regionale, che riguarda anche Tuvixeddu, che ha posto un vincolo, ulteriormente specificato, che può cancellare contratti precedentemente fatti, né più e né meno di come ha fatto nella fascia costiera.

Ora, circa il contratto precedentemente fatto - e tutto parte da questo contratto del 2000 mi pare -, senza entrare in mille tecnicismi, tutti sanno che comunque questa storia nasce dal fatto che era stato fatto un esproprio, fatto male. Successivamente il Comune di Cagliari, in qualche modo, rischiava di pagare 30-40 miliardi. Anziché dargli soldi hanno pagato in cubature, tanto le cubature non costano nulla, tanto cancellare il paesaggio di Tuvixeddu non costa nulla.

Come sono state date queste cubature? Attraverso questo contratto. Questo contratto, una volta è contratto, una volta è accordo su un programma quadro, sulla base di una tale legge. Nello stesso testo un'altra volta diventa contratto di programma. Diventa due o tre cose diverse, due o tre strumenti diversi nello spazio di due giorni, per cui ancora oggi, i tribunali finiranno per occuparsi di questo.

Ancora oggi non è chiaro cos'è questo contratto, qual è la sua forma giuridica, a quali articoli della legge 241, della Bassanini, si lega. Dico solo come è nato. E' nato sulla base di una delibera della Giunta regionale di due pagine, scritte belle larghe, di pochissime parole, senza niente allegato, due paginette due senza niente allegato, in cui dice: 'Il Presidente illustra alla Giunta la necessità di stipulare un accordo di programma, in cui conferma, le risorse previste, circa 6 milioni di euro. Conferma, insomma, che c'è un finanziamento, e poi dice: l'opportunità di cedere, per fare il parco, una parte, un pezzo di area di proprietà della Regione, quella che è sopra, sulla destra del canyon. Cioè, si fa una delibera di Giunta, in cui il Presidente dice agli altri Assessori: 'Occorre fare un accordo in cui noi ribadiamo queste due cose'. Non dice altro, non si allega la bozza di accordo di programma; non c'è traccia nella delibera di Giunta né negli archivi della nostra Regione. Sulla base di quella conoscenza gli Assessori decidono.

Ora, per quel poco di esperienza che ho io, ogni volta che facciamo qualcosa ci sono delle carte che si muovono, le carte sono allegate, si mostra, si motiva una decisione della Giunta. In quel caso lì niente, si ribadiva il finanziamento e la possibilità di vendere un pezzo di terreno, e si dava mandato al Presidente, che delega un dirigente della Regione, in quel caso l'ingegner Asuni, che due giorni dopo va in Comune e firma un accordo di programma, o programma, insomma, tre nomi usa. Firma un documento, in cui impegna la Regione, non solo per quelle due cose, ma di fatto in una variazione dello strumento urbanistico di Cagliari, che garantiva quelle cubature. Da quel momento, secondo loro, quelle cubature sono legittimate, senza nemmeno che ci sia stata un'analisi tecnica di qualche organismo regionale, come il Ctru, che normalmente dà i pareri di legittimità alla varianti urbanistiche.

Quindi, tutta quella roba lì è stata approvata da un solo dirigente della Regione, senza un'analisi, non solo della Giunta regionale, ma nemmeno dell'organo tecnico regionale che è incaricato di far queste cose, di valutare appunto gli strumenti urbanistici e le modifiche degli strumenti urbanistici. Insomma, da una parte abbiamo un vincolo, posto sulla base di una riflessione di due mesi della commissione, con i dirigenti della Regione, i dirigenti dell'ufficio tutela del paesaggio, con i dirigenti dello Stato, che hanno scritto non so quanto, 30 pagine, 40 pagine, che hanno scritto tutto quello che si poteva scrivere, e bene. Dall'altra abbiamo una paginetta e mezzo. Vorrei sapere cosa è meno o più motivato, meglio o peggio motivato, dove c'è meno o più arbitrio? Questo veramente balza agli occhi e ci si dovrà tornare.

Sto terminando. Amministrare significa fare delle scelte, fare delle scelte pericolose, fare delle scelte che certamente danno fastidio, in qualche caso, a chi è direttamente interessato, ma che sono nel senso positivo, della costruzione positiva per la città, per una comunità, per tutti quanti, e questo è quello che dobbiamo fare, e questo è quello che dobbiamo continuare a fare. Ostinatamente, sì, ostinatamente, con molta ostinazione, altrimenti che senso ha prendersi delle responsabilità? Ce le abbiamo per negare qualcosa, magari a un poveretto piccolo piccolo, che poi si difende malamente, debolmente, e ce l'abbiamo invece per lasciare cancelli aperti davanti agli interessi più grossi? Io credo di no.

In questo momento, in Sardegna, sta accadendo un fatto abbastanza nuovo: non ci si oppone solo alle istituzioni, ma ci si oppone alle persone che le istituzioni rappresentano, e alle persone magari anche nominate dalle istituzioni per approfondire le cose. Ovviamente, non è risaputo insomma, ma in questo momento io, l'Assessore, i componenti del comitato per il paesaggio, sono di fatto accusati personalmente e in qualche modo perseguiti personalmente, eventualmente anche con il loro patrimonio, per danni.

A me non interessa nulla, devo dire la verità, però capisco che ci si possa preoccupare e anche preoccupare tanto. Che uno possa preoccuparsi e dire: 'Oddio, mi pignorano la casa'. Se qualcuno inizia a pensare che deve proteggere la casa, trasferirla ai figli, metterla al riparo, semplicemente perché ha usato scienza e coscienza per difendere un interesse pubblico, ma in che mondo viviamo? E chi è che accetterà, in futuro, di fare commissioni di questo genere? E chi è che si prenderà, in futuro, la responsabilità di dire di no a qualcuno, se poi ha paura che deve perdere la casa? Se confondiamo le istituzioni con le persone? E se non solo ci opponiamo, giustamente, alle istituzioni con le nostre ragioni, ma ci opponiamo facendo paura, spaventando, intimidendo le persone che le istituzioni rappresentano, dove andiamo?

Io sono molto tranquillo, prima di venire qui ho partecipato a un convegno in cui si celebrava Giommaria Angioy, che è morto 200 anni fa, e c'era una dotta professoressa di Napoli che parlava dei patrioti. Giommaria Angioy è un patriota. E diceva che nella percezione, nella loro percezione, patriottismo, essere patrioti, l'idea di patria, non è il luogo dove nasciamo, è molto facile voler bene a casa nostra, al nostro angolo, al nostro cortile. Il senso di patria è il senso del bene comune: essere patrioti è difendere il bene comune, e noi stiamo cercando di difendere il bene comune".